giovedì 11 aprile 2013

ODE ALLE SCARPE BRUTTE



Il brutto è bello, si sa. 
Il brutto ha quel fascino incompreso che pochi colgono, quel non so che attraente, ipnotico e che rapisce lo sguardo e lo spirito. Il diversamente bello è una dimensione a parte, con proprie regole, e che segue fili logici sfuggenti alle menti ancora troppo ancorate alla vanità apparente del reale. Il brutto colpisce dove l'occhio pigro non vede o non vuol vedere, perché facile decantare la bellezza di una rosa rossa in primavera, impresa ben più ardua è accarezzare la velata beltà di un posacenere sporco sul tavolo di un bar. 

Il compagno di classe un po' sfigato, un po' bruttino, che però ci piace. Quell'opera d'arte incomprensibile, disordinata, "però è arte" e ci piace. Quel cane tanto brutto, quanto bello, che sembra un formichiere, che però ci piace.
Io, ad esempio, ho un debole per i palazzi brutti. Proprio quelli brutti brutti che non si possono guardare, gli edifici-mostri urbani che sorgono ai margini delle vostre strade, quelle colate di cemento che solo a stargli vicino è subito claustrofobia e mancanza d'aria. Ecco, a me piacciono e passerei intere giornate a fotografarli. Più sono pesantemente geometrici, incolori, incombenti e in aperta guerra con ciò che li circonda, più mi fanno impazzire.
E poi ho un'altra ossessione malata: LE SCARPE BRUTTE.


mercoledì 3 aprile 2013

Chi non ha soldi ha buon Adobe Photoshop

Signori Dolce e Gabbana, non credete che i vostri sobri bijoux siano fatti apposta per me? 

La verità è che non metto foto di come mi vesto perché scoprireste che sto in pigiama (tipo lui) più del tempo concesso a una ragazza della mia età. E poi sono sei mesi che non faccio shopping. Ma meglio per voi, se potessi vestirmi come nella mia mente vi farei vergognare delle vostre felpe Kenzo. Ma non voglio arrecarvi simile trauma, quindi continuo a stare in pigiama. 
Sono il corrispettivo blogger del parrucchiere medio, che ha notoriamente sempre dei capelli di merda nonostante il suo lavoro. 

Tuttavia, a volte mi fermo a pensare, con lo sguardo vuoto verso il soffitto, che questa triste realtà non si addice assolutamente alla mia persona, a me, fashion blogger di fama paesana. Trovo ingiusto che io non possa vestirmi da super figa ed essere fotografata per questo, e trovo ancor più vergognoso che nessuno mi regali vestiti da sfoggiare, nonostante i miei numerosi articoli su Frizzifrizzi.it di supporto a nuovi brand. Ma accetto volentieri anche magazine indipendenti e libri illustrati, sappiatelo.

Detto questo, vi confido che spesso, molto spesso, mi piace immaginarmi in abiti lussuosi, sfilare sotto i portici di Borgo San Pietro con vestiti da urlo, completi trendissimi, pencil skirt che non hanno bisogno di modifiche e pantaloni dal taglio maschile perfetti. Basta minigonne di H&M, vestitini succinti da ragazzina di sedici anni e scarpe logore, basta!
Molte volte cedo a frivoli pensieri del tipo "fossi ricca mi venderei ai peggiori trend del momento, in barba al second-hand e alla parsimonia" e poi "che si fottano il consumo intelligente e lo stile personale" e infine "Fashion victim is the way!"
Ma si, che male ci sarebbe? 
Inutile additare con le fiamme negli occhi le varie trendsetter che si vestono monomarca, come uscite dall'ultima sfilata di turno, per poi scadere nel più classico "mi passasse i vestiti Miuccia Prada anch'io mi vestirei bene". Un po' come "questa opera d'arte potevo farla anch'io". Mbè, non l'hai fatta. E Miuccia Prada non ti passa i vestiti. 
Che poi, mica è così semplice vestirsi con gli abiti regalati, devono azzeccare la taglia, eh. 


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