mercoledì 6 maggio 2015

Articolo Rimbalzato | Wearable Technology: Davvero Ci Piace?

"Selfie Hat" di Christian Cowan-Sanluis, a cui dedicherò un post perché merita la nostra attenzione.


Eccoci arrivati al terzo appuntamento de Gli Articoli Cestinati di Cecilia.

Devo dirvi la verità, questa storia degli articoli rimbalzati dalle redazioni inizia a piacermi. Finalmente ho una rubrica tutta mia dove tratto argomenti che mi piacciono in piena libertà, senza limiti di caratteri e censure. 
Quando ho inviato questo pezzo alla decima redazione segretamente speravo che venisse nuovamente ignorato così da poterlo pubblicare qui, sul mio blog, e continuare ad arricchire questa pseudo rubrica random a cui mi sto affezionando. 
Insomma, non tutti i mali vengono per nuocere. E voi, nel mentre, vi fate una cultura.

Oggi la rubrica vi offre un articolo di alto livello intellettuale su un tema scottante e inflazionato: le Wearable Technology
Ormai ne parlano tutti, perfino su Novella 2000 ci scappa sempre qualche trafiletto sulle tecnologie indossabili e anch'io non potevo tirarmi indietro di fronte all'occasione di essere sul pezzo. 
Tutto molto bello, tutto molto figo, tutto molto libri Urania, ma la mia domanda è: davvero ci piacciono queste nuove tecnologie? Secondo me no, anzi, lasciatemelo dire, spesso fanno cagare. Attenzione: in quanto fashion blogger che giudica le persone in base alle scarpe che indossano, questa mia affermazione nasce da un'osservazione strettamente estetico-stilistica e di "usabilità" dei dispositivi. Sono affascinata da questo sodalizio tra tecnologia e moda e vorrei sempre saperne di più sulle novità del settore, ma, nonostante i miei sforzi, resto una fashion blogger che in un vestito a clessidra realizzato con LED tubolari ci vede solo una gabbia per il corpo. Quindi, scienziati e ingegneri di tutto il mondo non vi incazzate con me, sono solo una povera ragazza fissata con i vestiti a cui piace ficcare il naso in cose che non le competono. 

Basta parlare, ecco l'articolo della discordia, nella versione pulita, censurata e scorciata –purtroppo
  


WEARABLE TECHNOLOGY: DAVVERO CI PIACE? 

Ricordate la segretaria che si mette lo smalto con una penna elettronica nel film Total Recall? E Mila Jovovich nei panni di LeeLoo che si trucca con una trousse computerizzata firmata Chanel? Purtroppo per noi è solo fantascienza. Eppure, ormai tutto questo non sembra più così impossibile.

Scienza e moda hanno unito le forze, e hanno dato alla luce tecnologie indossabili che sembrano poter realizzare ogni nostro sogno nell'armadio.

Ma come tutte le storie a lieto fine anche questa ha il suo rovescio della medaglia: quanto è effettivamente “wearable” questa tecnologia per la nostra vita di tutti i giorni? Facciamo il punto della situazione.
Il padrino della WT – che, nel caso qualcuno lo pensasse, non è Will.I.Am – Alex “Sandy” Pentland, direttore dello Human Dynamics Lab e del Media Lab Entrepreneurship Program al MIT, dagli anni Novanta ha concentrato i suoi studi sulle tecnologie indossabili, diventando uno dei primi ricercatori a unire il mondo della tecnologia a quello della moda. Un sodalizio tanto inaspettato quanto vincente.
Da allora le WT sono entrate a pieno titolo nelle nostre vite: da aiutante computerizzato per meglio affrontare le dure fatiche della vita moderna, a feticcio glamour che le pop stars mondiali fanno a gara per accaparrarsi.
Ne sono un esempio i Google Glass, gli occhiali dotati di realtà aumentata sviluppati da Google Inc. – ogni scusa è buona per riguardarsi il video di FKA twigs che ci mostra come usarli e il più recente Apple Watch che ha scatenato isterismi generali e scommesse clandestine su chi sarà la prima celeb a sfoggiarlo su Instagram.
Anche sul patinato pianeta Moda si sperimentano tecnologie indossabili al limite della fantascienza. Basti pensare a quel genio di Hussein Chalayan che da anni ci fa sognare con capi illuminati con luci colorate Led e con abiti mutaforma o che si muovono come se fossero agitati dal vento.
Più recente è invece la collezione Spring/Summer 2015 di Richard Nicoll che ha portato in passerella un abito/abat-jour realizzato con fibre ottiche e attivato da LED luminosi; sempre per la primavera 2015, il brand Rag & Bone ha invece incorporato elegantemente delle camere GoPro nelle sue borse che riprendevano la sfilata dal punto di vista delle modelle.
Anche il sodalizio musica e moda non è rimasto indifferente al fascino della fashion technology. Il caso più noto è quello di Studio XO, una compagnia di moda e tecnologia londinese che negli ultimi anni ha realizzato creazioni futuristiche per artisti di fama mondiale, come Lady Gaga – vedi Anemone Dress, l'abito che spara bolle di sapone – e Azealia Banks con il suo Digital Mermaid Bra.

Ma non si può parlare di tecnologia senza citare la stampa 3D. E poteva la moda farsi scappare questa ghiotta novità del momento? Ovviamente no.

Iris Van Harpen, per la sua collezione SS15, ha collaborato con il Media Lab del MIT per realizzare degli accessori simili a vere e proprie sculture astratte realizzate interamente con la stampa 3D. Mentre la stilista Nadir Gordon ha ideato il prototipo di un costume realizzato in 3D: che appare come un capo unico, ma è composto da quattordici pezzi dall'effetto maglia e uniti insieme grazie a un saldatore.


Potrei andare avanti per ore a elencarvi altri esempi di tecnologie indossabili, ma per il vostro bene mi fermo qui. Arriviamo piuttosto al punto cruciale di tutto questo soliloquio: ma le WT ci piacciono davvero?
Lontane dalla luce dei riflettori, inserite in contesti di vita quotidiana, davvero apprezzeremmo queste tecnologie indossabili? Secondo il mio umilissimo parere: no, perché la maggior parte delle creazioni sono stilisticamente brutte. Non fraintendetemi, sono lavori altamente interessanti, realizzati attraverso le tecniche più sofisticate che ci siano in circolazione, ma dal punto di vista strettamente estetico-funzionale, sono, secondo me, umanamente improponibili.
A questo proposito chiamo in mio aiuto Liza Kindred, guru del fashion tech e fondatrice di Third Wave Fashion, una piattaforma che offre comunicazione, consulenza e informazione su tutto ciò che riguarda la fashion technology.
In occasione del SXSW 2015, il South by SouthWest Festival di Austin, Liza Kindred esprime la sua opinione sulle recenti sperimentazioni tra moda e tecnologia, riassumibile in: So much of what we're seeing is super meh”. Parafrasando, la Kindred ritiene che la maggior parte delle nuove WT siano orribili ed eccessive. Chi vorrebbe indossare abiti geometrici illuminati con LED multicolore o biancheria intima che spara luci laser da discoteca? Abbiamo bisogno di altri dispositivi per restare connessi alle nostre vite virtuali più di quanto non sia necessario? Se escludiamo Katy Perry e pochi altri, penso che nessuno voglia rispondere in modo affermativo a queste domande.

La Kindred sostiene che il futuro delle tecnologie indossabile sta nella loro capacità di scomparire, non di apparire. E io aggiungo: il loro punto di forza sta nel promuovere abiti pensati per il corpo e per essere indossati, e vissuti, nella quotidianità, superando il facile fascino per silhouettes futuristiche e luci LED, che mortificano la vestibilità e il buongusto. Considerare le WT come un surplus vantaggioso unito a un design semplice, facilmente portabile, e non solo come effetti speciali che lasciano il tempo che trovano tra una moda e l'altra.
Lungi da me il criticare le WT, che restano a tutti gli effetti dei veri gioiellini d'ingegneria e creatività, ritengo però che ci sia bisogno di un approccio più concreto e realistico della sperimentazione se vogliamo che questo matrimonio tra moda e tecnologia viva felicemente a lungo.Morale della favola: è vero che il futuro della moda è già arrivato, ma non siamo tutti Lady Gaga, per fortuna.  


 Mi sento come una nonna bacchettona del '78 che vedeva nei punks solo del marcio, ignara che solo pochi anni dopo sarebbero stati considerati una vera subcultura giovanile, meritevole di attenzione e studi. Oggi sono pronta a correre questo rischio, magari fra vent'anni ci vestiremo con abiti king size geometrici agghindati con inutili luci colorate, il mio post sarà considerato bigotto e verrò inscritta nella lista nera degli Estremisti Conservatori del Cotone. Finché il beneficio del dubbio mi protegge, io dico solo: Fate Tecnologie Indossabili, Non Fate Stronzate


Cecilia

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